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Fra i ricordi di tanti musicisti


      

     Quando un amico caro se ne va, non restano che i ricordi; nel rievocarli si dà sfogo ai sentimenti, ma qualcosa duole dentro.

    Michele Corona rientra nella vasta schiera di musicisti che ho avuto il privilegio d'incontrare nel mio cammino; forse più numerosi degli stessi pittori con cui ebbi più stretti rapporti di amicizia e di lavoro.


Sen. Luigi Russo



    Cari nella memoria don Vito Annese che mi educava la bella voce di fanciullo esercitandomi a lungo, sottolineando ogni sfumatura, su le note di mottetti gregoriani ed il prof. Cipriano Palmisano, il vecchio maestro di musica del Collegio di Conversano, vittima negli ultimi anni, rassegnata ed indulgente, della vivacità degli allievi. A tarda sera mi ascoltava con bontà quando sul vecchio piano gli facevo sentire le povere cose che da autodidatta ero riuscito a capire. Lo vedo ancora piccoletto incurvato dagli anni e dal lavoro, con le grandi mani snodate che volavano su la tastiera.
Nel Collegio era in onore la tradizione della musica ed a tenerla viva ci pensava Mons. L. Gallo, a corona del suo gran sapere enciclopedico, musicista colto e di grande sensibilità.

    Indimenticabili tra gli scomparsi Orazio Fiume e Nino Rota. Li ho sempre presenti e cari nel ricordo delle loro virtù e nel rimpianto della immatura fine.

    Una volta che Rota volle passare un giorno con me (non mi è facile dire la gioia di quegli incontri), l'amico Corona volle fargli sentire una musica che andava elaborando e che doveva servire per un balletto. Volle poi accompagnare l'ospite illustre in Cattedrale e mostrargli l'organo monumentale. Quando fummo lassù Rota accennò alcuni motivi, provò qualche registro, toccò titubante qualche pedale per sondare la voce del possente strumento.

    Di lontano avevo sempre seguito Corona, quasi mio coetaneo; m'interessava quel ragazzo che, in compagnia del padre contrabbassista e decoratore ad un tempo, seguiva con attenzione qualche nuovo pezzo che le belle bande di Puglia eseguivano in piazza in occasione delle feste paesane; appuntamenti attesi ed unici per accostarci alla musica. Sapevo che studiava pianoforte e che prometteva. Inutile dire che lo ammiravo e l'invidiavo. Non sapeva che farsene del ginnasio e del nostro sgangherato latino; aveva per tempo scelto la sua strada, voleva diventare organista, e la seguiva con decisione. A Monopoli mancava chi sapesse accostarsi a quel gioiello di organo che da poco il M°  Consoli aveva portato a termine e che era stato collaudato con un memorabile concerto.

    I canonici della Cattedrale si adoperarono pertanto a presentare il giovane Corona, appena diplomato, a Pietro Magri, maestro di cappella nel celebre santuario di Oropa, autore di bella musica che rientra nel rinnovamento operato dal Perosi. Lì Corona si potè accostare all'organo ed apprendere i segreti. L'intesa tra i due fu ottima ed in breve l'allievo potè tornare a casa, accompagnato da molti elogi e buone referenze. Potè così prender posto nell'alta tribuna del duomo e di lì dare prova delle sue qualità. Con grande interesse l'ascoltavo mentre nei pontificali, prima della riforma liturgica, accompagnava col coro i riti solenni. Col passare degli anni erano sensibili i progressi; vinte le prime perplessità, si sentiva padrone dello strumento e se ne serviva con ingegnose combinazioni di registri per far sentire la sua voce. Nei momenti più raccolti nel gran silenzio s'introduceva con qualcuna delle sue fantasie.

    Si libravano sotto le ampie volte e sulle teste dei fedeli le note di appassionate romanze che certo erano stralciate da contesti più ampi. Ci confidava intimi palpiti e sperava di far breccia nei cuori.

    Preso dal lirismo pucciniano, l'opera era la grande meta, la sua ambizione di musicista. Nel comporre si avvaleva del talento e delle nozioni che con grande profitto aveva apprese dal M° Franco, nel capoluogo, unico e competente in materia. Ma ben altro gli sarebbe stato necessario per cimentarsi in un campo così vasto e complesso. L'esperto, frugando tra le sue carte, troverà i segni di molto lavoro, di un lungo conato di superamento, nè gli sarà difficile scoprire qua e là spunti interessanti e fermenti di afflato lirico che una maggiore esperienza tecnica avrebbe portato a felici conclusioni.

    In fondo Corona, ad onta delle attitudini, fu condizionato dalle angustie dell'ambiente; i nostri paesi vivevano allora ai margini di ogni progresso letterario, scientifico ed artistico. Per noi Cristo si era fermato a Napoli . Lì, tra gli altri, avevano spiccato il volo i nostri Insanguine e Van Westerhout. Tarpato nelle sue aspirazioni, dovè adattarsi, tra una chiesa e l'altra, al tran tran quotidiano, fattosi col tempo sempre più arido e scarsamente remunerativo, del tutto inadeguato ai bisogni di una famiglia numerosa. Almeno per questo potetti essergli utile. Lodo il Cielo per averlo avviato verso l'insegnamento statale.

    Si creò il concorso di favorevoli circostanze; buoni consigli, buona volontà nel mondo scolastico e nello stesso interessato. Con piena legalità si riuscì nell'intento di affidargli, a complemento della sua attività, un lavoro decoroso e con uno stato giuridico che lo sollevava dall'assillo di tormentose inquietudini.

    Ci fu un momento che lavoravamo insieme; (feci lo stesso per una volta sola con N. Rota), io a dettargli dei pensieri musicali che avevo appuntato alla meglio per mia memoria e lui a fissarli in notazioni che fossero espressive per tutti.
Ero come l'innamorato che, timido e sprovveduto, suggerisce ad un altro che ritiene più esperto e sicuro, i palpiti segreti per la sua donna. Sapevo i rischi cui si va incontro; non tutto si dice; non tutto è inteso, qualcosa è aggiunto ed estraneo; meglio però che il muro del silenzio. Di un pezzo su cui si era lavorato a lungo e con gioia, (lo intitolai Lo Specchio Antico, vi si respira infatti un'atmosfera settecentesca), Corona volle incidere un nastro. Nella esecuzione però accaddero tanti contrattempi, scattò anche rumorosamente un pedale difettoso del piano. Tra l'altro un canarino, dotato di bel canto, (viveva libero per la casa), eccitato dai suoni, prese a cinguettare per suo conto ed inserì con arroganza nelle nostre note, un lungo ed appassionato concerto.

    Lo Specchio Antico ora si è fatto del tutto opaco; applaudito come opera d'ignoto in due concerti, trovò poi a Roma un entusiasta musicista straniero che volle inciderlo in condizioni ideali; si servì infatti degli studi della Rai. Lo eseguì con molta partecipazione sul clavicordo, un piccolo, raro, angelico strumento che pareva fatto apposta per i nostri polverosi arabeschi. Il nastro piacque a Fiume che volle farlo sentire anche a Mons. Gallo.

    Corona in questi ultimi tempi, col peso degli anni e minato nella salute, ma sempre euforico, se rimetteva piede nella nostra Città, veniva a trovarmi. Si parlava del più e del meno e poi apriva il pianoforte e mi faceva sentire le sue ultime cose e godeva del mio apprezzamento. Pagine pulite e sobrie che avrebbero fatto felici giovanissimi allievi. Rievocavamo l'estate di quel lontano sodalizio artistico, di quella parentesi apertasi per lo spazio di un mattino come un fiore fatato nel grigio della nostra vita.

    Aveva tante altre cose da dire; gli bastava un'ora di serenità per trovare l'estro e concludere felicemente una pagina. Nutriva speranze ed illusioni. Confidava di trovare alla fine un editore volenteroso e di farsi luce.

 E' forse nel sogno la ricchezza vera dell'artista; molto spesso è incompreso perchè le elevazioni dell' arte portano lontano dai condizionamenti umani e non tutti hanno il fiato per orizzonti liberi e vasti.

               
                                                                                              Sen.  Luigi Russo


       



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